La ragazza 22enne con le ossa di una donna di 100

 A 22 anni ha le ossa di una donna di 100. La causa della condizione in cui si trova a vivere Jessica Taylor è la MA, l'Encefalomielite mialgica che causa stanchezza e che ha costretto la ragazza a trascorrere 7 anni della sua vita a letto. 
Jessica Taylor
Durante il perido trascorso in ospedale la ragazza è stata tanto male da non arrivare a riconoscere nemmeno i genitori.
Jessica si è ammalata a 14 anni: «Ho avuto una semplice influenza», ha raccontato al Daily Mail, «Non passava mai la stanchezza e nel giro di qualche mese sono stata ricoverata in ospedale».
Prima di stare male Jessica era una ragazza piena di vita e di energia.
Per quattro anni è stata in ospedale, incapace di muoversi dal letto e con forti dolori, dopo ha trascorso i successivi due anni tra ospedale e casa senza poter comunque svolgere una vita normale.
Oggi, dopo 7 anni di degenza a letto, la ragazza ha una grave forma di osteoporosi tanto da rischiare di rompersi una costola semplicemente sedendosi.
«Sto cercando di abituarmi a stare seduta. Non riesco a stare su una sedia per più di mezz'ora, ho la nausea e le vertigini. Continuo a vivere la mia vita sdraiata in un letto ma spero di recuperare lentamente».

Le mafie negli sbarchi di immigrati


La tragedia di Lampedusa ha riacceso l’attenzione dei media sui flussi di migranti clandestini e profughi che sbarcano nel nostro paese.
In particolare, gli aspetti della questione su cui finora ci si è soffermati di più hanno riguardato: il cambio delle rotte, dei luoghi di partenza e di arrivo; l’inadeguatezza della legislazione vigente; l’impreparazione all’accoglienza e al trattenimento dei migranti e dei profughi da parte dello Stato italiano; la mancata consapevolezza da parte di chi si occupa di reprimere l’immigrazione clandestina della gravità ed entità del fenomeno; la discrasia tra gli atti degli organismi internazionali e l’attuazione e il rispetto della legislazione italiana.
Un’altra questione, benché importante, è stata oggetto solo di commenti episodici: esiste un coinvolgimento, o comunque un interessamento, di clan mafiosi nel fenomeno? Al tema si accenna in alcuni rapporti istituzionali, la cui analisi, pur sommaria, sembra utile riprendere. (1) Partendo però da una premessa: gli sbarchi sono la fase finale di un processo con diversi passaggi. Non nascono da “un’imprenditoria della clandestinità” improvvisata, ma dal lavoro di un’organizzazione complessa, che da questa attività ricava utili consistenti, ripartiti nella filiera di “tratta”, dall’offerta del transito allo sbarco. Si tratta spesso di una filiera lunga, anche dal punto di vista della durata nel tempo e quindi richiede azioni ben concertate.
Dai rapporti cui abbiamo prima accennato emerge che il flusso di migranti e profughi si alimenta e alimenta organizzazioni mafiose. Sono composte in prevalenza da soggetti di nazionalità straniera (molti dei quali stabilmente residenti in Italia) con permesso di soggiorno o cittadinanza italiana, con forte caratterizzazione etnica, poco propensi alla collaborazione con cittadini italiani o di differente etnia.
Ecco come si può ricostruire il modello di “produzione” e la linea di “montaggio”:
- la struttura è organizzata in cellule che operano in più regioni del territorio italiano o in altre nazioni (sia africane che europee). Le singole cellule, pur mantenendo una forte autonomia nei rispettivi ambiti territoriali, risultano strettamente connesse;
- si mantengono stabili contatti con gruppi criminali attivi nelle rispettive nazioni di provenienza;
- c’è un’elevata capacità operativa e organizzativa, tale da consentire di finanziare e gestire il trasferimento di soggetti clandestini da paesi del Nord Africa a paesi del Nord Europa, garantendo tutte le attività logistiche e di supporto;
- chi appartiene a questi sodalizi mantiene un basso profilo e di conseguenza ha scarsa visibilità all’esterno del gruppo etnico di appartenenza;
- le rotte e le strutture proprie del traffico di migranti e profughi sono utilizzate anche per realizzare connesse attività illecite in materia di stupefacenti. (2)

UN AFFARE REDDITIZIO

Non ci sono dati disponibili sui profitti, ma si possono ricavare indirettamente. Nel 2012, considerato anno di magra, sono arrivati 13mila migranti e profughi, contro i 68mila dell’anno precedente, con una “tariffa” che molti denunziano, in media, di 2mila euro. Ciò indica un giro d’affari pari a 26 milioni di fatturato a costi irrisori. Le stime per il 2013 indicano 60mila arrivi e quindi il giro d’affari dovrebbe attestarsi abbondantemente sopra i cento milioni. Ma il dato rischia di essere di gran lunga sottostimato, sia perché non comprende le vittime che non riescono a raggiungere le coste italiane, sia perché non considera il nuovo flusso di profughi provenienti dalla Siria e dall’Egitto, che hanno una maggiore capacità di reddito e quindi sono disponibili a pagare tariffe che arrivano sino a 15mila euro. (3)
Secondo il rapporto dell’Onu, la tratta degli esseri umani (categoria di reato più ampia rispetto al fenomeno della migrazione) dovrebbe costituire una delle fonti di reddito più interessanti per il crimine organizzato transnazionale, secondo business dopo il narcotraffico.
Quanto alle due organizzazioni criminali mafiose che operano in Calabria e in Sicilia, più inchieste giudiziarie mettono in luce il ruolo della ‘ndrangheta nella logistica degli arrivi, grazie a un capillare controllo delle coste. (4) I magistrati siciliani escludono invece, per il momento, forme di coinvolgimento da parte di Cosa Nostra. Una possibile spiegazione di questa discrasia potrebbe risiedere nel fatto che la filiera della “tratta” ha come terminal in Calabria luoghi già inseriti nelle rotte del narcotraffico, business criminale di particolare interesse per la ‘ndrangheta, mentre questo non avviene per la Sicilia.
Alla luce di queste considerazioni, viene da chiedersi quale sia l’efficacia dell’azione messa in campo dall’Agenzia europea per la gestione della Cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, il cosiddetto Frontex, con quartier generale a Varsavia e dotazione finanziaria (2011-2012) di 200 milioni. E soprattutto viene da chiedersi qual è lo “stato dell’arte” del contrasto alle organizzazioni mafiose interne ed esterne: certo incuranti della commozione provocata dai morti in mare e dall’amarezza che scaturisce dal divario tra la gravità del problema e le risorse disponibili per offrire soluzioni, continuano senza soluzione alcuna il loro sporco lavoro.

(1) Si veda il Rapporto della Direzione nazionale sntimafia 2012, il Rapporto della Direzione investigativa antimafia 2012, il Rapporto Onu “Trafficking in persons report, 2012″.
(2) È un sostituto procuratore nazionale antimafia, Carlo Caponcello, a descrivere questo schema che trova conferma nella cosiddetta operazione Piramide condotta il 14 maggio 2012 tra Milano, Napoli e Mazara del Vallo.
(3) Il sito Fortress Europe ha contato 1.822 morti durante il viaggio dalle coste del Nord Africa a quelle italiane nel 2011, considerando solo quelli denunciati dai superstiti. Intanto, l’asse delle partenze si sposta sempre di più verso la Siria e l’Egitto. Le traversate non avvengono più con un naviglio improvvisato, ma con “navi madre” più moderne, da cui poi i migranti vengono fatti scendere su imbarcazioni più piccole. Molti di questi viaggi prevedono uno “stop and go” in acque territoriali maltesi dove i migranti vengono intercettati, rifocillati, riforniti con generi di prima necessità e poi indirizzati verso le coste siciliane o calabresi.
(4) La ‘ndrangheta sarebbe poi attiva nell’indirizzo dei clandestini verso la prostituzione, lo spaccio e la droga, il “nero” nel settore dell’agricoltura dove si realizzano veri e propri sfruttamenti di carne umana sostanzialmente ignorati e tollerati (Il Sole-24Ore, 1 ottobre 2013). Così gravi che nel Rapporto Dna 2012 si proponevano addirittura forme concrete di premialità per i casi di immigrati clandestini che collaborano con la giustizia.

lavoce.info

La Nestlé prosciuga le risorse idriche del Pakistan

L'acqua potabile in Pakistan è un bene comune, ma solo per chi se lo può permettere. L'oro blu, infatti, viene imbottigliato e rivenduto a prezzi altissimi, mentre il 44 per cento della popolazione è escluso dall'approvvigionamento idrico. Da decenni i pozzi di estrazione locali sono affidati alle multinazionali dell'acqua - come la Nestlé -, che sottraggono il prezioso liquido ai cittadini. L'associazione internazionale SumOfUs ha lanciato una petizione per fermare lo scempio targato Nestlé, che sta prosciugando le risorse idriche del paese islamico.

«Nestlé si sta muovendo in Pakistan e sta succhiando il rifornimento idrico locale, rendendo inabitabili intere aree al fine di vendere l'acqua arricchita di sali minerali ai cittadini più ricchi come status symbol - scrive SumOfUs -, mentre i poveri guardano i pozzi seccarsi e i loro bambini si ammalano». Accuse durissime, respinte però dalla Svizzera - dove ha sede la Nestlé International - e dalla Francia - sede di Nestlé Waters -. Nel mirino anche il governo centrale, incapace di operare politiche efficienti per garantire accesso all'acqua per i pakistani.

Dietro il marchio Pure Life - l'acqua in bottiglia che Nestlé vende in tutto il mondo - c'è una storia di sfruttamento e violazione dei diritti umani che dura dal 1998. Quell'anno, infatti, sono cominciate le operazioni di drenaggio dei pozzi della Nestlé in Pakistan. Secondo uno studio del procuratore legale e consulente dei Diritti umani e Sviluppo, Nils Rosemann, nelle aree rurali del paese la «carenza di acqua potabile e sicura» riguarda circa il 90 per cento della popolazione.

«Come misura del problema basti pensare che la stima di bambini che muoiono ogni anno in Pakistan, a causa di diarrea sono 200.000», denuncia ancora Rosemann nel suo studio. L'azione della Nestlé, dicono le associazioni per i diritti umani, si concentra in particolare nel villaggio di Bathi Dilwan, dove le vittime sono per lo più anziani e bambini, che si ammalano per i fanghi maleodoranti causati dalle operazioni di estrazione.

«In nome del profitto, la Nestlé sta contribuendo al depauperamento delle risorse idriche, inaridendo le locali fonti d'acqua e i pozzi fino a oggi utilizzati per uso domestico e agricolo», scrive ancora Nils Rosemann. E un altro grave effetto dell'operazione Pure Life è che «l'attuale estrazione dell'acqua condotta dalla Nestlé non è sostenibile e utilizza acqua più velocemente di quanto possa essere naturalmente rinnovata», mettendo a grave rischio il diritto all'acqua delle future generazioni». Ecco perché è importante firmare la petizione di SumOfUs.

Arriva la proposta di legge del M5S per cacciare gli impresentabili

Nel progetto del M5S gli elettori potranno scegliere anche i candidati da non mandare in Parlamento.


In estrema sintesi si può descrivere come una soglia di sbarramento per gli incandidabili. Una norma in grado di restituire ai cittadini il diritto di mandare in Parlamento i propri rappresentanti, ma anche di tenerne fuori i politici meno graditi. È la “preferenza in negativo” proposta dal gruppo del Movimento 5 Stelle. Uno degli aspetti più interessanti del progetto di riforma elettorale che i grillini hanno presentato alle Camere.

La commissione Affari costituzionali del Senato ne discuterà la prossima settimana, quando saranno esaminati gli ordini del giorno sul nuovo sistema di voto. Due giorni fa l’assemblea ha già bocciato la proposta del doppio turno di coalizione avanzata dal Partito democratico. Assieme al documento grillino rimane da esaminare quello della Lega Nord, che chiede di tornare al Mattarellum.

La riforma elettorale a Cinque Stelle ha evidenti caratteristiche «ispano-elvetiche», così almeno spiegano gli esperti. Un progetto ispirato al modello spagnolo per quanto riguarda il sistema proporzionale e le circoscrizioni elettorali su base provinciale. Ma mutuato dalla norma in vigore in Svizzera a proposito di preferenze e scelta degli eletti. Del resto, chiariscono dal M5S, quello elvetico è «un sistema che si contraddistingue per massimizzare la libertà di scelta dell’elettore e la sua capacità di determinare la politica perseguita dagli eletti». E allora ecco la grande novità introdotta dai pentastellati. I cittadini chiamati a rinnovare il Parlamento potranno selezionare i candidati più meritevoli, come avviene in quasi tutti i paesi del mondo. Ma potranno anche scaricare i politici ritenuti meno presentabili. Senza entrare in tecnicismi, la proposta si articola in tre passaggi chiave.

Anzitutto l’elettore può esprimersi scegliendo semplicemente una lista sulla scheda elettorale. In questo modo il voto di preferenza viene esteso a ciascuno dei candidati presenti. È il voto più semplice, per chi si affida al buon cuore dei partiti e accetta senza distinguo la rosa dei candidati presentati in quella circoscrizione.
Chi vuole, però, può anche depennare i politici meno graditi. Un inedito nel nostro Paese. Di fianco ad ogni nome, la scheda elettorale riporta due piccoli simboli. Un “meno” di colore rosso. E un “più” verde. Un semaforo elettorale per fermare gli impresentabili e dare via libera ai più capaci. Con un piccolo segno sul “meno” i cittadini potranno togliere una preferenza a uno o più candidati presenti nella lista votata. In cambio otterranno un uguale numero di voti da attribuire ad altri candidati. Politici inseriti nella lista elettorale prescelta, oppure in una delle liste concorrenti.

Completano il progetto di riforma alcune novità da tempo nel programma grillino. A partire dalla proposta di «introdurre un numero massimo di mandati elettorali - pari a due - che ogni cittadino può essere chiamato a ricoprire in qualità di deputato e/o senatore».

Intanto all’interno del movimento il confronto rimane aperto. Non siamo ancora alla proposta definitiva. «Questo è solo un punto di partenza» racconta il deputato pentastellato Danilo Toninelli, componente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Già disponibile in rete, presto il provvedimento potrà essere migliorato dai contributi degli interessati.
infiltrato.it

Le missioni militari ci costano 70 milioni di euro al giorno

E' il costo delle missioni all’estero appena rifinanziate o prorogate. E questo nonostante il governo ripeta quasi quotidianamente che non ci sono risorse e si affanna per trovare le coperture alla legge di Stabilità o al congelamento dell’Imu.

Settanta milioni al giorno in spese militari. Tanto costano agli italiani le missioni all'estero appena rifinanziate o prorogate. E questo nonostante il governo ripeta quasi quotidianamente che non ci sono risorse e si affanna per trovare le coperture alla legge di Stabilità o al congelamento dell'Imu. "Dalle parti del governo c'è davvero la ricerca spasmodica di risorse economiche che servano a coprire i capricci della destra, quell'idea di togliere qualunque incombenza fiscale anche ai ricchi", ha denunciato il leader di Sel, Nichi Vendola, "Evidentemente non servono le risorse per affrontare il problema crescente della povertà nel nostro Paese". E Vendola ha chiesto al Governo: "Ce lo possiamo permettere?" commentando l'ostruzione del suo partito Sinistra ecologia e libertà (Sel), insieme con il Movimento 5 stelle (M5s), sulla conversione in legge del decreto di rifinanziamento e proroga delle missioni italiane all'estero.
FONTE

Casta: Ecco quanto si guadagna alla Camera


Una ricerca della United for a fair economy , organizzazione che da Boston si batte contro la
diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, dice che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.



Una piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore privato che di quello pubblico. Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici.
Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1. La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa. Tutto bene così?

In realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro.

fonte: corriere.it

Condono fiscale 2002, un buco di oltre 3 miliardi di euro tenuto nascosto per undici anni

A 11 anni dal condono fiscale tombale del 2002, targato Silvio Berlusconi-Giulio Tremonti, si è scoperto che i 'condonati' non hanno pagato tutto il dovuto.
Secondo un documento della Corte dei Conti, di cui ha dato conto il Fatto Quotidiano, al 10 settembre del 2013 mancano all'appello circa 3 miliardi e mezzo di euro.

Secondo la magistratura contabile, il gettito complessivo per sanare definitivamente ogni irregolarità su Irpef, Irpeg, addizionali regionali, Ilor e quant’altro al dicembre 2002 doveva essere complessivamente di 26 miliardi: non si tratta di una previsione, ma del calcolo di quanto dovuto da chi ha aderito al condono ricevendo in cambio benefici come un sostanzioso sconto sulle tasse non pagate e la cancellazione di eventuali reati fiscali. Peccato che poi parecchi abbiano deciso di non pagare tutto, cioè di evadere sull’evaso. D’altronde la legge pareva scritta apposta per farlo: il condono, infatti, si considerava completato dopo aver pagato la prima rata. Di più: a chi sceglieva di rateizzare non si chiedeva alcuna fideiussione sul rimanente debito con l’erario.

Risultato: se uno dopo la prima rata non pagava più, partiva la solita catena per la riscossione coatta tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia; il tizio però nel frattempo non poteva essere accusato per i reati eventualmente commessi né gli si potevano applicare le multe cancellate dal condono.

La cosa venne fuori nel novembre 2008: su 26 miliardi ne abbiamo riscossi meno di 21, mise a verbale la Corte dei Conti. Per la precisione mancano all’appello 5,2 miliardi, il 16,2 per cento del totale al netto di sanzioni e interessi. Il governo, che poi era lo stesso che aveva fatto il condono, reagì sgomento: impossibile, inaudito, adesso ci pensiamo noi, gli espropriamo tutto. Siamo alla manovra del 2010, quando la commissione Ue comincia a spingere per l’austerità. Lì Tremonti si gioca il tutto per tutto: entro ottobre del 2011 l’Agenzia delle Entrate deve “effettuare una ricognizione” dei contribuenti che non abbiano ancora provveduto ai pagamenti e avviare nei trenta giorni successivi le procedure di riscossione coatta.

Bene così, problema risolto. O quasi: nell’estate 2011 Tremonti prorogò il termine al 31 dicembre 2012 e poi, tanto per stare tranquilli, Monti decise di fissarlo alla fine del 2013. D’altronde mica è una cosa così facile capire chi ha pagato e chi no: il condono del 2002 in qualche caso – almeno 34 mila contribuenti – fu addirittura anonimo, modello “scudo fiscale”. Alla fine, insomma, in sei anni si è riusciti a recuperare 1,8 miliardi (comprensivi, peraltro, di sanzioni e interessi per i ritardi sulle rate). E i benefici del condono? Sono ancora là.

 Quei tre miliardi e mezzo che mancano all’appello sono tornati d’attualità mentre gli uffici del Tesoro e le commissioni parlamentari consumavano gli occhi per far tornare i conti del Def: conti, sia detto per inciso, che per il 2013 tornano solo perché finora agli atti risulta che dovremo pagare la rata dell’Imu di dicembre per complessivi 2,4 miliardi di euro. In quei giorni, come detto, Francesco Boccia chiese alla Corte dei Conti notizie sull’annosa vicenda del condono tombale del 2002 scoprendo quei 3,4 miliardi dimenticati: “Adesso le proroghe sono finite – spiega al Fatto Quotidiano il deputato del Pd – e dobbiamo fare di tutto, già nella legge di stabilità, per recuperare i soldi: la prima cosa è prevedere che chi non è in regola coi pagamenti perde subito i benefici del condono, poi studieremo se applicare penalizzazioni accessorie”.

In sostanza, chi non ha pagato le rate dopo la prima potrebbe non solo trovarsi a dover sborsare tutte le tasse dovute senza alcuno sconto (anche cinque volte più di quanto pattuito a suo tempo), ma pure finire sotto la lente della magistratura per eventuali reati fiscali. Si vedrà, ma va detto che i precedenti non lasciano ben sperare: come ha rivelato l’Agenzia delle Entrate nel 2005, in sessant’anni di condoni solo quelli del 1989 e del 1992 hanno rispettato le previsioni di gettito.
infiltrato.it