La tragedia di Lampedusa ha riacceso l’attenzione dei media sui flussi di migranti clandestini e profughi che sbarcano nel nostro paese.
In particolare, gli aspetti della questione su cui finora ci si è soffermati di più hanno riguardato: il cambio delle rotte, dei luoghi di partenza e di arrivo; l’inadeguatezza della legislazione vigente; l’impreparazione all’accoglienza e al trattenimento dei migranti e dei profughi da parte dello Stato italiano; la mancata consapevolezza da parte di chi si occupa di reprimere l’immigrazione clandestina della gravità ed entità del fenomeno; la discrasia tra gli atti degli organismi internazionali e l’attuazione e il rispetto della legislazione italiana.
Un’altra questione, benché importante, è stata oggetto solo di commenti episodici: esiste un coinvolgimento, o comunque un interessamento, di clan mafiosi nel fenomeno? Al tema si accenna in alcuni rapporti istituzionali, la cui analisi, pur sommaria, sembra utile riprendere. (1) Partendo però da una premessa: gli sbarchi sono la fase finale di un processo con diversi passaggi. Non nascono da “un’imprenditoria della clandestinità” improvvisata, ma dal lavoro di un’organizzazione complessa, che da questa attività ricava utili consistenti, ripartiti nella filiera di “tratta”, dall’offerta del transito allo sbarco. Si tratta spesso di una filiera lunga, anche dal punto di vista della durata nel tempo e quindi richiede azioni ben concertate.
Dai rapporti cui abbiamo prima accennato emerge che il flusso di migranti e profughi si alimenta e alimenta organizzazioni mafiose. Sono composte in prevalenza da soggetti di nazionalità straniera (molti dei quali stabilmente residenti in Italia) con permesso di soggiorno o cittadinanza italiana, con forte caratterizzazione etnica, poco propensi alla collaborazione con cittadini italiani o di differente etnia.
Ecco come si può ricostruire il modello di “produzione” e la linea di “montaggio”:
- la struttura è organizzata in cellule che operano in più regioni del territorio italiano o in altre nazioni (sia africane che europee). Le singole cellule, pur mantenendo una forte autonomia nei rispettivi ambiti territoriali, risultano strettamente connesse;
- si mantengono stabili contatti con gruppi criminali attivi nelle rispettive nazioni di provenienza;
- c’è un’elevata capacità operativa e organizzativa, tale da consentire di finanziare e gestire il trasferimento di soggetti clandestini da paesi del Nord Africa a paesi del Nord Europa, garantendo tutte le attività logistiche e di supporto;
- chi appartiene a questi sodalizi mantiene un basso profilo e di conseguenza ha scarsa visibilità all’esterno del gruppo etnico di appartenenza;
- le rotte e le strutture proprie del traffico di migranti e profughi sono utilizzate anche per realizzare connesse attività illecite in materia di stupefacenti. (2)
UN AFFARE REDDITIZIO
Non ci sono dati disponibili sui profitti, ma si possono ricavare indirettamente. Nel 2012, considerato anno di magra, sono arrivati 13mila migranti e profughi, contro i 68mila dell’anno precedente, con una “tariffa” che molti denunziano, in media, di 2mila euro. Ciò indica un giro d’affari pari a 26 milioni di fatturato a costi irrisori. Le stime per il 2013 indicano 60mila arrivi e quindi il giro d’affari dovrebbe attestarsi abbondantemente sopra i cento milioni. Ma il dato rischia di essere di gran lunga sottostimato, sia perché non comprende le vittime che non riescono a raggiungere le coste italiane, sia perché non considera il nuovo flusso di profughi provenienti dalla Siria e dall’Egitto, che hanno una maggiore capacità di reddito e quindi sono disponibili a pagare tariffe che arrivano sino a 15mila euro. (3)
Secondo il rapporto dell’Onu, la tratta degli esseri umani (categoria di reato più ampia rispetto al fenomeno della migrazione) dovrebbe costituire una delle fonti di reddito più interessanti per il crimine organizzato transnazionale, secondo business dopo il narcotraffico.
Quanto alle due organizzazioni criminali mafiose che operano in Calabria e in Sicilia, più inchieste giudiziarie mettono in luce il ruolo della ‘ndrangheta nella logistica degli arrivi, grazie a un capillare controllo delle coste. (4) I magistrati siciliani escludono invece, per il momento, forme di coinvolgimento da parte di Cosa Nostra. Una possibile spiegazione di questa discrasia potrebbe risiedere nel fatto che la filiera della “tratta” ha come terminal in Calabria luoghi già inseriti nelle rotte del narcotraffico, business criminale di particolare interesse per la ‘ndrangheta, mentre questo non avviene per la Sicilia.
Alla luce di queste considerazioni, viene da chiedersi quale sia l’efficacia dell’azione messa in campo dall’Agenzia europea per la gestione della Cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, il cosiddetto Frontex, con quartier generale a Varsavia e dotazione finanziaria (2011-2012) di 200 milioni. E soprattutto viene da chiedersi qual è lo “stato dell’arte” del contrasto alle organizzazioni mafiose interne ed esterne: certo incuranti della commozione provocata dai morti in mare e dall’amarezza che scaturisce dal divario tra la gravità del problema e le risorse disponibili per offrire soluzioni, continuano senza soluzione alcuna il loro sporco lavoro.
(1) Si veda il Rapporto della Direzione nazionale sntimafia 2012, il Rapporto della Direzione investigativa antimafia 2012, il Rapporto Onu “Trafficking in persons report, 2012″.
(2) È un sostituto procuratore nazionale antimafia, Carlo Caponcello, a descrivere questo schema che trova conferma nella cosiddetta operazione Piramide condotta il 14 maggio 2012 tra Milano, Napoli e Mazara del Vallo.
(3) Il sito Fortress Europe ha contato 1.822 morti durante il viaggio dalle coste del Nord Africa a quelle italiane nel 2011, considerando solo quelli denunciati dai superstiti. Intanto, l’asse delle partenze si sposta sempre di più verso la Siria e l’Egitto. Le traversate non avvengono più con un naviglio improvvisato, ma con “navi madre” più moderne, da cui poi i migranti vengono fatti scendere su imbarcazioni più piccole. Molti di questi viaggi prevedono uno “stop and go” in acque territoriali maltesi dove i migranti vengono intercettati, rifocillati, riforniti con generi di prima necessità e poi indirizzati verso le coste siciliane o calabresi.
(4) La ‘ndrangheta sarebbe poi attiva nell’indirizzo dei clandestini verso la prostituzione, lo spaccio e la droga, il “nero” nel settore dell’agricoltura dove si realizzano veri e propri sfruttamenti di carne umana sostanzialmente ignorati e tollerati (Il Sole-24Ore, 1 ottobre 2013). Così gravi che nel Rapporto Dna 2012 si proponevano addirittura forme concrete di premialità per i casi di immigrati clandestini che collaborano con la giustizia.
lavoce.info