Casta: lo spreco senza fine delle auto blu

Prendete un paio di condomini in una zona popolosa di Roma o Milano e assegnate loro un’auto blu. Poi andate avanti così per tutto il quartiere. Una volta finito, avrete da una parte la popolazione della Valle d’Aosta e dall’altro il mostruoso numero di vetture di servizio di cui dispone la più piccola delle regioni italiane: 493 macchine per appena 128 mila residenti, una ogni 260 persone. Il quadruplo della media nazionale, tutt’altro che spartana, dove il rapporto è grosso modo uno a mille.

Ma l’amore per il più classico degli status symbol dei potenti non sembra essere una prerogativa della Vallée, che grazie al suo redditizio statuto speciale gode di una finanza locale assai più florida del resto della Penisola. Nemmeno un’altra “piccola”, peraltro neppure altrettanto abbiente, sembra infatti immune da questa tentazione di grandeur. E se gli italiani stringono la cinghia e perfino la classe politica è costretta a qualche piccola rinuncia in tema di benefit, il Molise continua a veleggiare alla grande come se nulla fosse: lo scorso anno le auto di Stato erano 368. Evidentemente non abbastanza dal momento che secondo le stime del Formez Pa, che monitora costantemente il parco auto nazionale, ne sono state acquistate altre 12. In media, una al mese. E così adesso sono 380 in una terra che conta poco più di 300 mila abitanti.

Sono i numeri “nascosti” nelle statistiche diffuse dal dipartimento della Funzione pubblica. Perché è vero che i numeri sono in calo e negli ultimi anni si assiste a una generalizzata inversione di tendenza (da 60.439 vetture a 56.581 nel 2013) ma i costi restano elevatissimi: 940 milioni negli ultimi dodici mesi. Soprattutto, c’è un’Italia che rema contro qualunque tentativo di riduzione degli sprechi. Come in Trentino-Alto Adige e in Basilicata, altre due regioni in cui nell’ultimo anno il parco auto è aumentato complessivamente di una dozzina di macchine. Oppure, oltre alla stessa Basilicata, in Campania, Calabria, Molise, dove nonostante i numerosi appelli alla sobrietà un terzo delle auto blu sono ancora assegnate con l’autista.

Qualcuno dovrà spiegare, ad esempio, perché la Provincia autonoma di Aosta debba impiegare 43 persone per un parco auto composto da 151 auto (16 delle quali con autista) quando la Regione Lombardia, la più popolosa d’Italia ma con lo stesso numero di dipendenti, ne ha “appena” 87. E perché, in questa gigantesca concessionaria pubblica, 42 debbano essere vetture dei bolidi con una cilindrata superiore ai 1.900 cc., fra cui 10 Wolkswagen, 6 Suzuki e 5 Toyota. Passi per le 108 auto delle Asl, che in linea teorica potrebbero servire a rendere più efficienti i servizi sanitari sul territorio, ma che dire delle 81 vetture in forza alle comunità montane, delle 29 appartenenti al comune di Aosta (che conta appena 35 mila abitanti) e delle 18 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente?

Miracoli dell’autonomia, se anche in un’altra regione a statuto speciale il leitmotiv è simile: in una inversione assoluta del buon senso rispetto a quel che dovrebbe essere logico, la Regione Trentino-Alto Adige ha dovuto mettere per iscritto che le auto blu possono essere utilizzate solo per fini istituzionali. Il regolamento, datato 1995, permetteva infatti al presidente e al vicepresidente del Consiglio regionale di usare la macchina istituzionale (rigorosamente con autista) anche per finalità private come andare a fare la spesa. Adesso non ne hanno più diritto ma solo quando i Consigli provinciali sono riuniti in sessione comune, ovvero una volta al mese. Per tutte le altre sedute, i cugini trentini e altoatesini possono fare come credono. Nella Provincia autonoma di Bolzano, ad esempio, il regolamento che vieta le auto blu per fini personali non vale per la giunta. Risultato: nove auto blu, tutte con chauffeur, per il presidente e i suoi sette assessori.

L’emblema dello spreco resta tuttavia il Molise, dove il servizio con autista ha il rapporto più basso d’Italia: 1 ogni 3.800 persone, due volte e mezzo la media nazionale (dove il rapporto e 1 a 9 mila). Fra Isernia e Campobasso ci sono più auto blu che in tutta l’Emilia Romagna, che pure ha una popolazione 14 volte superiore: 83 a 80. Eccoli i numeri: 48 auto di servizio fra le Province (14 con autista), 42 in Regione (12 comprese di chauffeur), 25 nelle comunità montane, 24 nell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (fra cui prestigiose Lancia, Mitsubishi, Wolkswagen e perfino una Subaru) e 21 l’agenzia per lo sviluppo dell'agricoltura, dove spiccano due potenti Rover. Nemmeno la minuscola università del Molise fa eccezione: 10 auto a fronte di appena 10 mila iscritti e 276 dipendenti. Per avere un’idea: la Sapienza, prima università d’Italia coi suoi 130 mila studenti e 8 mila lavoratori, di macchine ne ha 6.

Un’ossessione, quella per la macchina istituzionale, dilagata perfino nei paesi. Montenero di Bisaccia, ad esempio, il paese divenuto celebre per avere dato i natali ad Antonio Di Pietro, ha meno di 7 mila abitanti ma ben tre auto di servizio. Il record spetta però al piccolo comune Campochiaro: appena 650 anime ma quattro vetture nel parco auto, una assegnata in via esclusiva e un’altra addirittura dotata di autista.

Camera dei deputati, bando da 450 mila euro per servizi fotografici

A Montecitorio si bada molto all'immagine e al vezzo di posare davanti ad una macchina fotografica non si sottrae nemmeno la Presidente della Camera Laura Boldrini.
Così, durante le feste natalizie, la Camera dei deputati, in silenzio, si prepara a spendere 450 mila euro per i "servizi fotografici".
Un bel regalo di Natale, dunque, per le agenzie fotografiche che certamente non si lasceranno scappare l’occasione. Secondo la documentazione ufficiale, come racconta LaNotizia, il guadagno annuo stimato è di 150 mila euro per un appalto della durata di tre anni.
E il conto è presto fatto: 450 mila euro.
Un bando quello della Camera che di certo farà discutere, dato che la Boldrini da tempo parla di tagli agli sprechi e di una forte spending review anche a Montecitorio.
Parole alle quali puntualmente non seguono i fatti. Il bando inoltre a quanto pare è blindato. La procedura sarà ristretta e non aperta.
Secondo quanto specificato nel bando potranno partecipare soltanto coloro che già hanno realizzato “servizi fotografici per corrispettivi complessivamente non inferiori a € 240.000 nel corso del triennio 2010-2012 per eventi di rappresentanza per amministrazioni aggiudicatrici ai sensi del Codice dei contratti pubblici, regolarmente eseguiti”.
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Tutto quello che non ha fatto la politica del «noi faremo»

L'editoriale di Milena Gabanelli pubblicato sul Corriere della sera affonda la politica italiana. Ecco cosa ha scritto:

A fine anno, nella vita come in tv, si replica. Il Capo dello Stato fa il suo discorso, quello del Governo ricicla le dichiarazioni di 6 mesi fa in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: «Faremo». Vorremmo un governo che a fine anno dica «abbiamo fatto» senza dover essere smentito. Il Ministro Lupi fa l’elenco della spesa: 10 miliardi per i cantieri, «saranno realizzate cose come piazze, tutto ciò di cui c’è un bisogno primario». C’è un bisogno primario di piazze e di rotatorie? «Trecentoventi milioni per la Salerno-Reggio Calabria». Ancora fondi per la Salerno Reggio-Calabria? Fondi per l’allacciamento wi-fi. Ma non erano già nel piano dell’Agenda Digitale?
E poi la notizia numero uno: «Le tasse sono diminuite». Vorrei sapere dal premier Letta per chi sono diminuite, perché le mie sono aumentate, e anche quelle di tutte le persone che conosco o che a me si rivolgono. È aumentata la bolletta elettrica, l’Iva, l’Irpef, la Tares. L’acconto da versare a fine anno è arrivato al 102% delle imposte pagate nel 2012, quando nel 2013 tutti hanno guadagnato meno rispetto all’anno prima. Certo l’anno prossimo si andrà a credito, ma intanto magari chiudi o licenzi. E tu Stato, quando questi soldi li dovrai restituire dove li trovi? Farai una manovra che andrà a penalizzare qualcuno. I debiti della pubblica amministrazione con le imprese ammontano a 91 miliardi. A giugno il Governo dichiara: «Stanziati 16 miliardi». È un falso, perché quei 16 miliardi sono un prestito fatto da Cassa Depositi e Prestiti agli enti locali. E per rimborsare questo mutuo, i comuni, le province e regioni hanno aumentato le imposte. L’Assessore al Bilancio della Regione Piemonte in un’intervista a Report ha detto: «Per non caricare il pagamento dei debiti sui cittadini, si doveva tagliare sul corpo centrale delle spese del Governo, e se non si raggiungeva la cifra… non so.. vendo la Rai!».


Privatizzare la Rai è un tema ricorrente. Nessun paese europeo pensa di vendersi il servizio pubblico perché è un cardine della democrazia non sacrificabile. In nessun paese europeo però ci sono 25 sedi locali: Potenza, Perugia, Catanzaro, Ancona. In Sicilia ce ne sono addirittura due, a Palermo e a Catania, ma anche in Veneto c’è una sede a Venezia e una a Verona, in Trentino Alto Adige una a Trento e una a Bolzano. La Rai di Genova sta dentro ad un grattacielo di 12 piani…ma ne occupano a malapena 3. A Cagliari invece l’edificio è fatiscente con problemi di incolumità per i dipendenti. Poi ci sono i Centri di Produzione che non producono nulla, come quelli di Palermo e Firenze. A cosa servono 25 sedi? A produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca. L’edizione di mezzanotte, che è una ribattuta, costa 4 milioni l’anno solo di personale. Perché non cominciare a razionalizzare? Se informazione locale deve essere, facciamola sul serio, con piccoli nuclei, utilizzando agili collaboratori sul posto in caso di eventi o calamità, e in sinergia con Rai news 24. Non si farà fatica, con tutte le scuole di giornalismo che sfornano ogni anno qualche centinaio di giornalisti! Vogliamo cominciare da lì nel 2014? O ci dobbiamo attendere presidenti di Regione che si imbavagliano davanti a Viale Mazzini per chiedere la testa del direttore di turno che ha avuto la malaugurata idea di fare il suo mestiere? È probabile, visto che la maggior parte di quelle 25 sedi serve a garantire un microfono aperto ai politici locali. Le Regioni moltiplicano per 21 le attività che possono essere fatte da un unico organismo.

Prendiamo un esempio cruciale: il turismo. Ogni regione ha il suo ente, la sua sede, il suo organico, il suo budget, le sue consulenze, e ognuno si fa la sua campagna pubblicitaria. La Basilicata si fa il suo stand per sponsorizzare Metaponto a Shangai. Ognuno pensa a sé, alla sua clientela (non turistica, sia chiaro) da foraggiare. E alla fine l’Italia, all’estero, come offerta turistica, non esiste. Dal mio modesto osservatorio che da 16 anni verifica e approfondisce le ricadute di leggi approvate e decreti mai emanati che mettono in difficoltà cittadini e imprese, mi permetto di fare un elenco di fatti che mi auguro, a fine 2014, vengano definitivamente risolti.

Punto 1. Ridefinizione del concetto di flessibilità. Chi legifera dentro al palazzo forse non conosce il muro contro cui va a sbattere chi vorrebbe dare lavoro, e chi lo cerca. Un datore di lavoro (che sia impresa o libero professionista) se utilizza un collaboratore per più di 1 mese l’anno, lo deve assumere. Essendo troppo oneroso preferisce cambiare spesso collaboratore. Il precario, a sua volta, se offre una prestazione che supera i 5000 euro per lo stesso datore di lavoro, non può fare la prestazione occasionale, ma deve aprire la partita Iva, che pur essendo nel regime dei minimi lo costringe comunque al versamento degli acconti; inoltre deve rivolgersi ad un commercialista per la dichiarazione dei redditi, perché la norma è di tre righe, ma per dirti come interpretare quelle tre righe, ci sono delle circolari ministeriali di 30 pagine, che cambiano continuamente. Il principio di spingere le persone a mettersi in proprio è buono, ma poi le regole vengono rimpinzate di lacci e alla fine la partita Iva diventa poco utilizzabile. Perché non alzare il tetto della «prestazione occasionale» fino a quando il precario non ha definito il proprio percorso professionale? Il mondo del lavoro non è fatto solo da imprese che sfruttano, ma da migliaia di micropossibilità che vengono annientate da una visione che conosce solo la logica del posto fisso. Si dirà: «Ma se non metti dei paletti ci troveremo un mondo di precari a cui nessuno versa i contributi». Allora cominci lo Stato ad interrompere il blocco delle assunzioni e smetta di esternalizzare! Oggi alle scuole servono 11.000 bidelli che costerebbero 300 milioni l’anno. Lo Stato invece preferisce dare questi 300 milioni ad alcune imprese, che ricavano i loro margini abbassando gli stipendi (600 euro al mese) e di conseguenza i contributi. Che pensione avranno questi bidelli? In compenso lo Stato non ha risparmiato nulla…però obbliga un libero professionista o una piccola impresa ad assumere un collaboratore che gli serve solo qualche mese l’anno. Il risultato è un incremento della piaga che si voleva combattere: il lavoro nero.

Punto 2. Giustizia. Mentre aspettiamo di vedere l’annunciata legge che archivia i reati minori (chi falsifica il biglietto dell’autobus si prenderà una multa senza fare 3 gradi di giudizio), occorrerebbe cancellare i processi agli irreperibili. Oggi chi è beccato a vendere borse false per strada viene denunciato; però l’immigrato spesso non ha fissa dimora, e diventa impossibile notificare gli atti, ma il processo va avanti lo stesso, con l’avvocato d’ufficio, pagato dallo Stato, il quale ha tutto l’interesse a ricorrere in caso di condanna. Una macchina costosissima che riguarda circa il 30% delle sentenze dei tribunali monocratici, per condannare un soggetto che «non c’è». Se poi un giorno lo trovi, poiché la legge europea prevede il suo diritto a difendersi, si ricomincia da capo. Perché non fare come fan tutti, ovvero sospendere il processo fino a quando non trovi l’irreperibile? Siamo anche l’unico paese al mondo ad aver introdotto il reato di clandestinità: una volta accertato che tizio è clandestino, anziché imbarcarlo subito su una nave verso il suo paese, prima gli facciamo il processo e poi lo espelliamo. Una presa in giro utile a far credere alla popolazione, che paga il conto, che «noi ce l’abbiamo duro».

Punto 3. L’autorità che vigila sui mercati e sul risparmio. Dal 15 dicembre, scaduto il mandato del commissario Pezzinga, la Consob è composta da soli due componenti. La nomina del terzo commissario compete al Presidente del Consiglio sentito il Ministro dell’Economia ed avviene con decreto del Presidente della Repubblica. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno un paio di mesi di burocrazia una volta che si sono messi d’accordo sul nome. Ad oggi l’iter non è ancora stato avviato e l’Autorità non assolve il suo ruolo indipendente proprio quando si deve occupare di dossier strategici per il futuro economico-finanziario del Paese come MPS, Unipol-Fonsai e Telecom. Di fatto Vegas può decidere come vigilare sui mercati finanziari e sul risparmio, direttamente da casa, magari dopo essersi consultato con Tremonti (che lo aveva a suo tempo indicato), visto che il voto del Presidente vale doppio in caso di parità, e i Commissari hanno facoltà di astensione. Perché il Governo non si è posto il problema qualche mese fa, e perché non si è ancora fatto carico di una nomina autorevole, indipendente e in grado di riportare al rispetto delle regole?

Punto 4. Ilva. È alla firma del Capo dello Stato il decreto «terra dei fuochi», dentro ci hanno messo un articolo che autorizza l’ottantenne Commissario Bondi a farsi dare i circa 2 miliardi dei Riva sequestrati dalla procura di Milano. Ottimo! Peccato che non sia specificato che quei soldi devono essere investiti nella bonifica. Inoltre Bondi è inadempiente, ma il decreto gli da una proroga di altri 3 anni, e se poi non sarà riuscito a risanare, non è prevista nessuna sanzione. Nel frattempo che ne è del diritto non prorogabile della popolazione a non respirare diossina? Ovunque, di fronte ad un disastro ambientale, si sequestra, si bonifica e i responsabili pagano. Per il nostro governo si può morire ancora un po’.

Come contribuente e come cittadina non mi interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai. Pretendo che l’età della pensione valga per tutti, che il rinnovo degli incarichi operativi non sia più uno orrendo scambio di poltrone fra la solita compagnia di giro. Pretendo di essere governata da una classe politica che non insegna ai nostri figli che impegnarsi a dare il meglio è inutile.

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